Nel film “The social network“, ispirato alla storia di Mark Zucherberg e alla nascita di Facebook, c’è un passaggio in cui il preside di Harward a colloquio con due studenti dice: «Qui i laureandi pensano che inventare un lavoro sia meglio che trovare un lavoro».
Creare o inventare un lavoro piuttosto che cercarlo sembra la prospettiva che più caratterizza il mercato del lavoro in questo momento. E non è solo una prerogativa degli studenti di Harward perché grazie all’avvento del digitale è nato un movimento molto trasversale di nuovi makers, protagonisti del digital manufacturing, una realtà che in Italia ha una sorta di icona nella persona di Massimo Banzi, ideatore della scheda open source Arduino, e nel mondo artigiano il terreno fertile su cui crescere.
La cultura digitale sta influenzando fortemente il mondo del lavoro e soprattuto le scelte dei giovani che quando trovano condizioni di contesto coerenti scelgono la via dell’autonomia spesso dando vita a start-up. L’obiezione che in genere si fa in questi casi è che le aziende innovative non creano grandi numeri in termini di occupazione. È una mezza verità perché, come ha scritto Mauro Moretti nel suo saggio “La nuova geografia del lavoro”, le nuove imprese innovative hanno forti ricadute occupazionali indirette. Tradotto in numeri significa che per ogni lavoratore della conoscenza impiegato in una start-up si generano 5 posti di lavoro nei servizi.
Il mercato del lavoro in Italia può contare inoltre su alcune caratteristiche peculiari del Paese: la diffusione dei distretti industriali, una tradizione manifatturiera, un patrimonio culturale e ambientale che non ha eguali al mondo. I settori dove la creatività dei giovani può trovare uno sfogo naturale sono dunque molti.
Di questi temi discuteranno sabato 29 agosto alle 17: Mauro Colombo (Confartigianato), Rosario Rasizza (Openjobmetis), Emilio Paccioretti (Fai) nell’incontro “Il lavoro si cerca o si costruisce?”.